Meditazione Mons. Sgubbi

Chiesa di Zolino 28 febbraio 2015

Vorrei che rimanesse questa sera in voi una verità luminosa, consolante. Una verità che vi esprimo attraverso le parole di un poeta polacco, il poeta più amato di papa G. Paolo II.

Queste le parole: “L’uomo che rifiuta la sua divinità tradisce la propria umanità”.

In questa breve frase è racchiusa la definizione della fede, lo scopo della fede e soprattutto un aspetto purtroppo oggi molto trascurato, la sua desiderabilità, la sua bellezza , il suo potere di affascinare, la sua richiesta di essere desiderata.

georgius0Un giorno, secondo una tradizione rabbinica, fu chiesto ad un Rabbino di spiegare il cuore della Torah, della legge, ma l’interlocutore per essere sicuro che fosse breve gli disse: – spiegami il cuore della Torah per lo spazio in cui senza oscillare starai in piedi su una gamba sola-. E quello disse: “ama Dio ama il prossimo” ; mise sulla carta e aggiunse: tutto il resto è commento inutile.

Se fosse chiesto a noi lo stesso esercizio e ci fosse chiesto: raccontami il cuore della fede, dimmi in una parola sola che cosa è la fede, che cosa offre, perché è desiderabile, penso che potremmo scegliere un parola del vangelo, dal vangelo di Luca, la parola è:versetto 31, capitolo 15: che cos’è la fede? E’ Dio che ti dice: “Figlio tutto ciò che è mio è tuo”.

Questa è la definizione della fede. Questo è il contenuto della fede.

Non c’è altro motivo di credere se non il desiderio di vivere con la stessa pienezza con la stessa gioia nella stessa luce con cui vive Dio. Dio si augura che crediamo non per volere la nostra sottomissione ma al contrario Dio si augura che crediamo perché credendo crediamo in lui . Dio si augura la fede perché fra noi e lui non ci siano distanze. E tutto questo è talmente dono, talmente storia, talmente carne, talmente realtà che non è un’ipotesi , che non è una raccomandazione , è il volere di ciascuno, è la vita di ciascuno. Non dimentichiamo che Gesù è stato definito nella lettera agli ebrei l’autore e colui che porta a compimento la fede. Credere nel figlio di Dio significa diventare figli di Dio come lo è stato lui. Lo scopo della fede è godere come gode Dio, amare come ama Dio, gioire come ama Dio , in una parola diventare come lui perché non è il peccato insinuato dal maligno quello di diventare come lui , è il disegno di Dio; il maligno ha cercato di deviarlo ma il disegno di un padre qual è ? Che tutti i figli abbiano almeno quello che ha lui, e se fosse possibile ancora di più. E Dio che è padre ha un solo desiderio che abbiamo noi tutto quello che ha lui.

“ Figlio tutto ciò che è mio è tuo”.

Questo è il contenuto, questa è la desiderabilità della fede. La fede è fatta di uno strano destino , può voler dire essere nell’incertezza, nell’insicurezza per certi aspetti anche nel buio come anche può esprimere la certezza più solida, più coinvolgente . Quando io vi do una cosa e vi viene rivolta una domanda su quella cosa, se non la so, me la cavo dicendo credo. Dire in quel momento credo vuol dire ammettere di non essere nella luce, mi manca, come dire, non posso darti una risposta luminosa sicura, credo. Ma quando dico a una persona che mi ama, e alla quale io stesso corrispondo con il mio amore, credo in te, in quel momento non sono nel dubbio sono nella luce. Ti conosco a tal punto che non ho bisogno di fare una domanda, credo in te, ti consegno la mia vita perché conoscendoti so che qualunque cosa tu ne farai sarà per il mio bene. C’è allora un concetto minimalista di fede e noi diciamo credo quando siamo nell’ignoranza, ma la fede cristiana non è ignorare , la fede cristiana è dire credo in te perché sapendo chi sei, so che consegnandoti la vita colui che attinge i benefici da questa consegna non sei tu Padre che hai ricevuto, tu hai già tutto, sono io figlio che puntando a te consento a te di darmi la tua misura, consento a te di ripetere: “mio figlio sei tu io sempre ti ho generato”.

Dobbiamo essere grati a S. Agostino perché per evitare degli equivoci sulla fede ci ha ricordato tre fondamentali significati:

-il primo credere che Dio esiste.

Ma non è gran cosa, non è nemmeno la definizione di fede cristiana . Si racconta che quel filosofo anticristiano, illuminista,Voltaire, un giorno passeggiando per Parigi passando davanti a una chiesa con le porte aperte vede che sull’altare è esposto il Santissimo. Fra lo sconcerto e l’incredulità e lo stupore di coloro che lo accompagnano, si toglie il cappello e fa un profondo inchino , una profonda genuflessione. Reazione dei compagni: ma come proprio tu che…. Risposta imperturbata : “ci salutiamo ma non ci parliamo”. Credere che Dio esiste è una constatazione che non cambia la vita, anzi è una fede comoda molto ambita, rapporti di buon vicinato, basta che Lui non sia troppo invadente e che non abbia troppe esigenze, rispettiamoci da buoni vicini. Non è questo credere, credere che Dio esiste non è la fede cristiana.

-Poi Agostino riconosce che c’è anche un altro modo: credere la fede. Qui ci avviciniamo di più, qui c’è già più un rapporto personale. Però si pone la domanda perché credere a lui ? Quando io presto ascolto a qualcuno devo avere una motivazione , perché ascoltarlo, perché credergli ?

-La risposta è nel terzo tipo di fede, credere buttandosi tra le braccia, questa è la fede cristiana.

Lo scopo della fede non è d’essere informati su cose che stanno al di là della mia fede; scopo della fede è ottenere la luce , ottenere la carità che consentono già nell’oggi di benedire la fede; non è soltanto fine, è benedire la fede. Ma il credente è colui che si lancia in Dio che è padre, benedice la vita perché sa che in questa vita lui può già cominciare a gustare la vita di Dio.

Una parola impegnativa ma bella e consolante, comincia già nel tempo a vivere l’eternità.

Allora qui possiamo fare subito una fondamentale correzione, se ce ne fosse bisogno, della nostra idea di fede. Per quanto tempo ci è stato detto:< non capisci? Bene e allora credi>. Per quanto tempo si è creduto che per poter credere dobbiamo dire grazie al buio, all’ignoranza, alle tenebre, non sappiamo dunque crediamo. Ignoriamo dunque speriamo, per quanto tempo ci è stato insegnato in questo modo. Papa Benedetto , e non solo lui, ha detto:< è proprio il contrario, vedo dunque desidero quindi credo> .

Lumen Fidei vuol dire che non avremmo la possibilità di credere se non credessimo che qualcosa che crea in noi stupore e desiderabilità . Da dove comincia la fede? Comincia dallo stupore, comincia da quella parola, che il Signore sussurra sempre ogni giorno, se solo abbiamo la pazienza e il raccoglimento per ascoltarla , che disse alla donna di Samaria sul pozzo: “se tu conoscessi il dono di Dio”!

Conoscere è altro che essere nel dubbio, conoscere vuol dire avere, conoscere vuol dire desiderare conoscere vuol dire abbracciare conoscere vuol dire toccare, conoscere vuol dire stringersi. Se tu conoscessi il dono di Dio. Ecco non si può credere senza essere affascinati dal dono di Dio. Capisco che sia un dio noioso un dio che ogni giorno ci dicesse cosa fare che volesse essere come un’educanda che non lascia minima autonomia, invadente, il grande occhio che assomiglia di più allo spione del grande fratello e non al Padre glorioso e misericordioso. Capirei che non sia desiderabile la fede di fronte a un dio così; ma a un Dio che dice il centuplo quaggiù, la vita eterna? Ma non è servito che se credi vedrai la gloria? Un Dio che pronuncia 366 volte nel nuovo testamento non temere; 366 come i giorni dell’anno più uno, per l’anno bisestile quando capita; ha proprio pensato a tutto lo Spirito Santo! Allora tutti i giorni ti dice di non temere e beh di fronte a un Dio così un po’ di stupore, e un po’ di sana curiosità, un po’ di desiderio non può non esserci .

Un giorno Pietro interrogando Gesù sul motivo della fede Gli disse: “Signore, noi abbiamo creduto e abbiamo lasciato tutto; però noi che cosa ci guadagniamo, che cosa ci dai in cambio?”.

Dobbiamo essere sinceri: se fossimo noi a scrivere questi Vangeli, noi cosa scriveremmo? “e Gesù rispose: “Vergognati Pietro, sei venale, sei interessato, sei un calcolatore”.

E invece Gesù non solo risponde, ma risponde con la massima convinzione quasi attraversato da un fremito di gioia e di lode che Pietro gli abbia chiesto che cosa c’entri tu Signore con la mia vita, “che cosa c’entra la fede con la mia vita” e gli risponde: “già nel presente cento volte tanto e nel futuro la vita eterna”; e la vita eterna non è la vita che non finisce mai, magari col rischio di atterrirci come una eternità; la vita eterna è la vita di Dio che per definizione è sempre nuova, rinnova sempre e non ci si fa mai l’abitudine e crea sempre nuovo futuro e nuova speranza.

Però non sarebbe non dico completa, ma almeno ordinata e organica la nostra riflessione se non pensassimo anche come si fa a credere, come avvengono i passaggi della fede, come evitare una fede stanca, abitudinaria, farisaica, di buon vicinato, senza entusiasmo, non contagiosa e invece abbracciare una fede gioiosa, contagiosa, forte e resistente.

È il Vangelo di Giovanni che offre alcune preziose riflessioni per la fede quotidiana (capitolo I, versetti dal 35 al 50); racconta la fede dei primi discepoli, dicendo anche come si fa a capire; c’è una caratteristica nel Vangelo di Giovanni che è soltanto sua e che non ha parallelo negli altri Vangeli; la prima parola che usa Gesù non è un annuncio come in Marco, non è una proclamazione come in Matteo e in Luca; la prima parola di Gesù è una domanda: “cosa cercate?”.

La fede è possibile solo in chi cerca qualcosa, la fede non può essere degli annoiati o dei sazi, dei presuntuosi che credono di sapere o di avere già tutto; la fede si nutre di desiderio, la fede comincia da una preoccupazione per me che è quella di non sciupare la vita, la fede è quella che utilizzo perché la vita possa darmi tutto quello che può darmi; detto in positivo per mezzo della fede la mia vita diventa autenticamente umana, perché, se ricordiamo il Poeta, solo quando ho la somiglianza col Padre sono diventato veramente umano.

L’uomo che sia soltanto fatto di terra ha durata breve; lo dice la Bibbia senza tanti giri di parole: gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, passano presto e noi ci dileguiamo.

Questa invece è la vita più vera e che cosa ci chiede?

La richiesta dei discepoli è: “Signore, dove abiti?”; strana richiesta; di tante cose che potevano chiedere gli chiedono dove è la sua casa; gli avrebbero potuto chiedere che cosa ci dici, come fai ad essere così …….. Ma c’è una ragione; che cosa è la casa? La casa è il luogo che custodisce la nostra intimità, la casa è il luogo dei rapporti (almeno così dovrebbe essere) riconciliati almeno in casa; la casa è anche il luogo della stabilità; la casa è il compiersi di un cammino quando l’ultimo passo della strada diventa il primo gradino di casa: siamo arrivati.

Giovanni, associando l’idea della fede alla casa, ha voluto dire: credere è abitare stabilmente nelle consolazioni di Dio; credere è abbandonare l’affanno; credere soprattutto è non subire mai la crisi di identità; credere è non avere bisogno dello psicologo, in quanto spesso, ci dicono gli psicologi, si rivolgono loro persone dicendo: “io non so più chi sono”.

Abitare nella casa di Dio è abitare in Dio che getta continuamente luce e carità sulla nostra identità; il credente è colui che non dirà mai a se stesso: “non ti conosco più”.

Se andiamo avanti Giovanni dice anche un particolare: erano le quattro del pomeriggio; le quattro del pomeriggio nella tradizione ebraica è un’ora molto importante: è l’ora dei matrimoni, è l’ora in cui si concludono i grandi affari, è l’ora in cui il sole, anche se non è più così splendente, anche se si comincia a non vederlo più, tuttavia ha lasciato il calore sulla terra.

E qui Giovanni ha voluto dire questo: la fede non è per gli uomini della provvisorietà, la fede non è delle oppressioni; come la casa è la quotidianità, così la fede deve essere qualcosa di stabile e definitivo; non perché noi possiamo dire di averla questa fede, ma perché ci fidiamo della fedeltà di un Dio; e non è stato San Francesco il primo a dirlo; tutti i Vangeli, tutta la storia di salvezza ci presenta questo Dio, un Dio che ci rincorre; Papa Francesco ultimamente ripete che il nostro Dio è un Dio che ci rincorre, proprio come l’innamorato che non si rassegna quando l’amato o l’amata tende a stare lontano o a rinunciare al rapporto.

Ecco il primo quadretto della fede: in Gesù Cristo Dio ci rincorre perché non vuole che la nostra vita sia una vita da nomadi; qual è la differenza fra nomade e pellegrino? Il nomade continua a camminare con fermate provvisorie; il pellegrino ha una via, c’è qualcuno che l’aspetta e, sapendo di essere atteso, non dirà mai sono da solo.

Proseguendo, troviamo la chiamata di Pietro; Pietro non viene chiamato direttamente da Gesù; sono Giovanni e Andrea che, pieni di entusiasmo, gli dicono: “Abbiamo trovato il Messia”. Notate, non dicono “c’è il Messia”, dicono “abbiamo trovato”; si esprimono come chi ha fatto una interessante e improvvisa scoperta; stanno dicendo: abbiamo trovato il Messia, abbiamo trovato qualcosa che ci fa veramente star bene, abbiamo trovato colui che può compiere i desideri del nostro cuore; il desiderio che una volta realizzato non è destinato a morire, a scomparire; stare con Dio significa desiderarlo e desiderarlo sempre di più.

La fede, quella vera, non sarà mai una fede annoiata; il contrario del credente è l’annoiato, colui che non ha più il vibrare per avere incontrato un Dio che vuole essere il suo servitore. Dio e Gesù Cristo non sono venuti per essere serviti; sono venuti per servire. Se mai ci chiedessimo, perché Dio cerca la nostra fede? Non è forse vero, come ci hanno insegnato al catechismo, che Dio ha tutto? Che cosa gli manca? Che cosa cerca? Perché mi rincorre? Perché si mette alla ricerca di me? La risposta è: Dio ti cerca per essere il tuo servitore, per trasformare una vita destinata alla tristezza in una vita destinata alla gloria. Disse Gesù a Marta: ”Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?”.

Poi abbiamo la chiamata di Filippo e facciamo un altro passo; di Filippo non ci dice niente; Gesù lo vede e dice “seguimi” e il fatto che dopo Filippo vada e ne parli pieno di entusiasmo, vuol dire che quella fede Filippo l’ha vissuta non come una condanna, come una alienazione, ma come l’aspetto più bello dell’amore di sé; ripeto queste parole “l’amore di sé”. Qual è la differenza fra l’amore di sé e l’egoismo? L’egoismo è che io decido da solo quanto grande può essere la mia vita; l’amore di sé è il movimento della vita; per essere sicuro di non sciuparmi io mi metto nelle mani e nel cuore del mio Creatore. Ecco perché l’orgoglio non produce mai nulla di buono davanti a Dio, perché l’orgoglio è come un isolante che impedisce a Dio di sorprenderci con la sua grandezza, impedisce a Dio di servirci con la sua misericordia; essere persone che amano se stesse significa essere credenti; quando credo in Dio, io sto umanizzando me stesso perché acconsento a lui di fare della mia vita ciò che della mia vita da solo mai potrei fare.

Passando alla chiamata di Natanaele, sottolineo che non è necessario essere ben disposti; il Signore non vuole una fede perfetta; si accontenta anche di una fede debole; addirittura si accontenta di un interesse; ricordate quando Filippo va da Natanaele e gli dice: “c’è Gesù di Nazaret”; ricordate la risposta di Natanaele: “può venire forse qualcosa di buono da Nazaret?”; scetticismo, disincanto, quasi indifferenza; eppure anche lì c’è la fede; e perché? Perché Natanaele cerca la verità e quando si cerca la verità, si è sempre sulla strada di Dio; e infatti Gesù dice: “sei un uomo esigente” e conclude con queste parole: “e poi ti meravigli perché io ti dimostro che ti penso sempre; prima che io ti incontrassi, ti avevo già visto”; è come dire: Natanaele, prima che ci fossimo incontrati, eri nel mio cuore e i nostri nomi sono scritti in cielo nel cuore di Dio; noi non siamo nati il giorno in cui siamo stati segnati all’anagrafe; noi siamo nati quando Dio ci ha pensati, quel giorno che ha detto voglio che come gioisco io, ci siate anche tutti voi.

Natanaele risponde: “O Signore, vedo che sai”.

“Ti meravigli di questo? Vedrai cose ancora più grandi; vedrai che questa terra non è soltanto un piccolo globo affidato alla legge di gravità e a tutte le altre forze impersonali cosmiche; questa terra è il trampolino, è il primo gradino di una scala che ti porta fino al cielo”.

Ecco che cos’è la fede: figli qui sulla terra sottratti alle leggi della terra, alla legge di ciò che nasce muore, alla legge di ciò che è povero diventa ricco, alla legge di ciò che è animato non diventerà buono; la fede ci trasferisce nel regno di Dio.

Vivere nella legge di Dio non significa vivere da alienati, gente che dimentica la terra, gente che fa della fede una diga per limitare ciò che accade; non è questa la fede; la fede è cominciare a vivere qui in terra già sempre incamminati verso la definitività del vero, del buono, del bene.

Perché allora è importante non avere una fede astratta, una fede concettuale; perché è importante toccare; si lascia toccare qualcosa che è nel tempo e nello spazio; il concetto non ha bisogno del toccare; in mezzo al deserto io penso tutte le cose, ma non le tocco.

Toccare Dio vuol dire celebrare i sacramenti, l’eucarestia, la confessione; toccare Dio vuol dire partecipare alla vita della comunità.

Se non siamo delusi da Dio dobbiamo chiederci: ma io ho toccato la Sua carne o ho avuto una fede filosofica? Come reagiamo quando una persona cara ci dice: “Non sono mai venuto a trovarti, non ti ho mai cercato, però ti ho sempre pensato”; comodo, comodo; ma nel pensiero si generano le fantasie; è solo con la carne che si vincono gli incubi; “e il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi; dalla sua pienezza tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”, perché siamo anche noi dove Lui è e dove Lui è noi salviamo la vita, che è il Signore Gesù.

L’idea, o meglio la verità consolante, che mi sarebbe piaciuto condividere è la desiderabilità della fede.

Nei cristiani oggi c’è la consapevolezza che la fede è qualcosa di nobile, di grande; ma c’è anche la convinzione che è qualcosa di desiderabile; che la fede sia qualcosa di desiderabile, può voler dire una cosa sola: voglio dalla vita tutto quello che la vita mi può dare; per questo credo; non c’è altro motivo di credere se non la gioiosa e positiva preoccupazione di non perdere nemmeno un frammento di vita.

Per questo Gesù ha detto: chiunque vive e crede in Me non ha perso tempo, anzi …….